Neurobranding, come le emozioni guidano le nostre scelte di acquisto

Scegliamo esperienze, sicurezza, riconoscimento di un sistema che rispecchia le nostre emozioni. Scegliamo un’identità.
Autore
Urania Frattaroli

A me piace un brand e a te un altro. Scelta razionale? Sembrerebbe, eppure non lo è: la scelta è emotiva. Sono le nostre emozioni a decidere se compiere quel passo in più verso l’acquisto.

Sebbene gli studiosi di marketing per decenni abbiano provato a scandagliare i processi decisionali dei consumatori attraverso analisi, ricerche di mercato, studio del prodotto e della sua funzionalità, questi hanno dovuto fare un salto avanti ed aggiungere un elemento in più: il processo irrazionale, quello appunto emotivo.

Cosa è cambiato?

Il marketing è da sempre concentrato sullo studio dei consumatori, sui loro desideri e sulla percezione che questi hanno nei confronti dei brand. Negli ultimi anni la guerra dei marchi per differenziarsi dalla moltitudine è diventata spietata con i nuovi canali di comunicazione. Il problema fondamentale rimane quello di catturare l’attenzione, farsi ricordare, diventare un modello e infine entrare nelle nostre case.

Oggi non siamo più succubi dei meri messaggi promozionali, delle promesse di qualcosa “più bianco, che più bianco non si può”. Siamo andati oltre la proposta “O così o Pomì”. Siamo pienamente consapevoli di ciò che ci aspettiamo da un brand e siamo più pretenziosi. Ed è così che abbracciamo un prodotto o un marchio non tanto perché si differenzia realmente dagli altri ma perché siamo attratti dalla sua storia, dai suoi valori, dall’attenzione che ha nei confronti di una società in piena evoluzione culturale.

neurobranding emozioni - adidas- agency of digital people

L’evoluzione emotiva dei Brand

Di fatto, le aziende hanno cambiato il modo di comunicare con noi consumatori: ci raccontano le loro emozioni, si espongono su tematiche sociali volte all’inclusività, si fanno portavoce della diversità. Basti pensare al brand Dove che promuove la nuova immagine della donna, perfetta nelle sue normali imperfezioni. Oppure Nike, che rende lo sport accessibile a tutti: ricordiamo i manichini plus size o i diversi spot contro gli stereotipi o a favore dell’inclusività.

nike inclusivity- adp

E ancora, la nuova linea particolare di abbigliamento sportivo di Adidas, dedicata alle donne arabe con determinate esigenze di abbigliamento. Così come Gucci con le sue modelle con la sindrome di Down, Disney con il suo primo corto dedicato ad una eroina plus-size, Victoria’s Secret e le modelle transgender.

Anche questo è un modo con cui i brand creano nuove connessioni con la società per creare negli individui nuove percezioni e posizionarsi nella loro mente in modo emotivo, quasi personale. Sembra contorto? Eppure succede!

Neurobranding: percezione ed emozione

L’immedesimazione nei valori del brand porta ad una nuova percezione di questo, a una nuova relazione basata sulla fiducia. Non scegliamo i prodotti tanto per la funzionalità, ma per il legame costruito con il brand. Scegliamo esperienze, sicurezza, riconoscimento di un sistema che rispecchia dunque le nostre emozioni. Scegliamo un’identità. E il Neurobranding in fondo si basa su tutto questo: costruire un mondo di relazioni emotive in cui la positività delle percezioni e dei giudizi ci guidano verso l’acquisto proprio di quel determinato prodotto. Emozioni date dai ricordi, dall’ immedesimazione, da uno stile di vita, dall’essere rappresentato: da personali messaggi positivi insomma.

Secondo Martin Lindstrom, autore del libro NeuroMarketing, “l’emozione attira l’attenzione attraverso i nostri sensi, che influenzeranno i processi decisionali. I brand che creano una connessione emotiva con i consumatori sono molto più forti di quelli che non lo fanno.” Basti pensare alle file chilometriche con tempi di attesa biblici degli Apple lovers per acquistare un nuovo modello di IPhone.

Pepsi Challenge Test

L’esempio più famoso lo abbiamo dall’esperimento basato sul Neuromarketing e condotto dal dottor Montague nel 2003, chiamato Pepsi Challenge Test. Lo studio consisteva nell’offrire ad alcuni consumatori due tazze anonime contenenti uno Coca-Cola, l’atro Pepsi. Si richiedeva di esprimere la propria preferenza tra le due bibite. Montague decise di utilizzare su diverse persone l’fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) macchinario in grado di guardare all’interno del cervello umano, illuminandosi esattamente dove si verifica l’attività cerebrale in risposta ad uno stimolo. Durante la prima somministrazione di bevande anonime, il dottor Montague confermò le preferenze per Pepsi. Ma alla seconda somministrazione, dichiarando prima i nomi dei brand, il 75% delle preferenze andò invece a Coca-Cola. L’attività cerebrale “accesa” indicava la predominanza del pensiero emozionale. L’esperimento di neuromarketing ha osservato come, sebbene il gusto più gradevole a livello inconscio fosse quello della Pepsi, le emozioni suscitate da Coca-Cola prevalevano sulla preferenza.

Neuromarketing -pepsi challenge test- agency of digital people

Attraverso il neurobranding, “fare branding” diventa un’attività più completa e interessante, al fine di rendere il prodotto più desiderabile rispetto agli altri e trasformare il brand in un amico a cui affidarsi. Un amico che ha empatia verso ciò che proviamo, che viviamo, verso ciò che vogliamo essere nel contesto della società. Ecco l’aggancio emotivo che ci fa avere interesse per un brand, identificarci con esso e ricordarlo nel futuro. Ricordarlo positivamente e riconoscerlo porterà anche a preferirlo e molto probabilmente ad acquistarlo.

Ma mettiamoci subito all’opera, andiamo a fare neurobranding!

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